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Guida fiscale su come gestire le criptovalute

Le criptovalute sono uscite da tempo dall’orbita esclusiva degli esperti e più diventano popolari, più si moltiplicano le domande sul loro utilizzo.

La questione fiscale interessa coloro che intraprendono la strada dell’acquisizione di valute digitali, sia a scopo di investimento che come forma di pagamento e riscossione di beni e servizi, tra gli altri usi.

“Questo elenco di domande è interessante in relazione al mondo delle criptovalute, in quanto si tratta di un fenomeno innovativo le cui zone d’ombra derivano da quella che è, forse, la sua più grande virtù: il controllo decentralizzato attraverso la blockchain, che le lascia momentaneamente fuori dall’ambito di regolamentazione delle banche centrali e delle istituzioni finanziarie e pone delle sfide ai governi quando si tratta di esercitare il controllo fiscale”, spiega l’avvocato Martín Litwak, fondatore e CEO di @UntitledLegal, una boutique di servizi legali specializzata nella pianificazione patrimoniale internazionale e nella creazione di fondi di investimento.

QUALI TASSE PAGANO I POSSESSORI DI CRIPTOVALUTE IN ARGENTINA?
n Argentina, le criptovalute, come qualsiasi altro bene, sono incluse nel calcolo dell’imposta sui beni personali.

Per quanto riguarda l’imposta sul reddito, dall’entrata in vigore della Legge 24.430 (2017), le criptovalute sono state espressamente incluse nel capitolo corrispondente alle plusvalenze e sono tassate al 15% sul risultato della vendita (nella misura in cui tale risultato sia positivo, ovviamente).

Il calcolo viene effettuato in “valuta forte, non in pesos argentini, in modo che la differenza di cambio non faccia parte del guadagno tassabile”, spiega Litwak.

Inoltre, la provincia di Cordoba ha tassato le criptovalute con il reddito lordo (IIBB) e “pensiamo che la tendenza sarà che altre province lo applichino a lungo termine”, dice l’avvocato.

FARSI PAGARE PER IL LAVORO CON LE CRIPTOVALUTE
Come nella maggior parte dei Paesi del mondo, in Argentina le criptovalute non sono considerate moneta, quindi quando si viene pagati in criptovalute non si tratta tecnicamente di un pagamento monetario ma di una “dación de pago”, o pagamento in natura, che significa essenzialmente la cancellazione di una fattura con qualsiasi cosa che non sia moneta.

Quindi chi viene pagato in cripto dovrà pagare quanto gli è stato fatturato per il lavoro svolto, allo stesso modo in cui sarebbe stato pagato, ad esempio, con un’automobile. Non appena una fattura di 1.000 dollari, ad esempio, viene annullata, il contribuente deve dire all’AFIP: “Ho fatto annullare la fattura per questo importo” e pagarla. Nel caso di province che addebitano l’IIBB alle criptovalute, l’utilizzo di questo strumento potrebbe comportare maggiori complicazioni, o almeno costi aggiuntivi.

QUANDO SI FATTURA PER LAVORI SVOLTI ALL’ESTERO
Quando si riceve un pagamento dall’estero, è esattamente come quando si viene pagati in Argentina. Nel nostro Paese vige il principio del reddito globale, il che significa che una persona deve essere tassata nel Paese in cui stabilisce la propria residenza fiscale, indipendentemente dal luogo in cui possiede beni o in cui ha guadagnato ciò che ha guadagnato.

Il problema con l’Argentina, in particolare, è quando il denaro deve essere portato in patria, perché il Paese ha regolamenti sull’esportazione di servizi che costringono a regolare i dollari sul mercato ufficiale, il che significa una perdita di cambio rispetto al valore effettivo del dollaro sul mercato locale. Questa è una circostanza molto particolare in Argentina; in Uruguay, per fare un esempio, non è così.

COSA SUCCEDE IN URUGUAY CON I PAGAMENTI IN CRIPTOVALUTA DALL’ESTERO? UN PAESE VERSO IL QUALE MOLTI ARGENTINI SI STANNO RIVOLGENDO O TRASFERENDO PER PROBLEMI FISCALI
In Uruguay, da un lato, sono esenti dall’imposta sul patrimonio perché si tratta di beni all’estero. In Uruguay, a differenza dell’Argentina, vige un principio di tassazione “territoriale”, anche se parziale, come in quasi tutti i Paesi dell’America Centrale, e in parte anche in Paraguay e Bolivia, dove si paga l’imposta solo su ciò che si guadagna nel Paese e nulla di ciò che si possiede o si riceve all’estero viene tassato.

Per quanto riguarda l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPF), sono esenti perché, detenendo attività all’estero, pagherebbero le imposte solo sui pagamenti di cedole o dividendi e non sulle plusvalenze. Poiché le plusvalenze che generano sono plusvalenze da rivalutazione, non vi è alcuna imposta.

COSA SUCCEDE ALLE CRIPTOVALUTE NEGLI STATI UNITI?
Anche se non esiste una legge che lo preveda espressamente, gli Stati Uniti sono un Paese “cripto”.

Gli Stati Uniti considerano le criptovalute, in termini di trattamento fiscale, come un’attività finanziaria, il che significa che il Tesoro statunitense non addebita le spese per il loro acquisto o per la loro detenzione in portafoglio.

Quando la cripto viene venduta, ciò che viene generato è considerato una plusvalenza, piuttosto che un’imposta sul reddito, che ha un onere più elevato. Oggi i Paesi più sviluppati seguono il modello americano, cioè non tassano l’acquisto o la detenzione, ma solo la vendita e con l’aliquota sulle plusvalenze, come i redditi finanziari.

LE CRIPTOVALUTE NEL RESTO DEL MONDO
I Paesi hanno reagito in vari modi: le hanno vietate, le hanno viste come un’opportunità per attrarre investimenti e persino, più recentemente, le hanno adottate come moneta legale.

Alcuni Paesi hanno addirittura lanciato le proprie criptovalute e le accettano per il pagamento e il rimborso di tasse e altri servizi. È il caso delle Bermuda, che utilizzano le stablecoin (USDC, in questo caso), una valuta legata al valore del dollaro, che ha ricevuto sostegno e investimenti da parte di società di criptovalute, o – passando all’altro estremo dello spettro ideologico – del Petro, la valuta digitale venezuelana sostenuta dal petrolio.

Alcuni governi hanno incoraggiato l’uso di queste valute attraverso esenzioni fiscali per attrarre investimenti, oltre ad altri incentivi fiscali per i non residenti. È il caso del Portogallo, che non tassa le persone fisiche (ma le persone giuridiche) che vendono criptovalute e non le considera come plusvalenze o redditi da capitale, normalmente tassati al 28%.

Un caso nuovo è quello di El Salvador, che è diventato il primo Paese al mondo a stabilire che una particolare criptovaluta abbia corso legale obbligatorio, il che significa, tra l’altro, che obbliga i suoi cittadini a ricevere criptovalute come pagamento, permettendoci di convertirle in dollari senza essere tassati e persino di pagare le tasse in quella valuta.

Oltre a quelli già citati, come Bermuda e Portogallo, altri Paesi “crypto-friendly” sono: Andorra, Svizzera, Germania, Singapore, Bielorussia, Malesia, Georgia, Slovenia, Malta, Giappone e Corea del Sud. Si tratta di Paesi che hanno riconosciuto i vantaggi di questa nuova tecnologia e hanno creato un ambiente favorevole al suo sviluppo.

Tuttavia, nonostante i dettagli dei casi descritti, Litwak sconsiglia risposte generalizzate e basate sulle tasse quando si tratta degli aspetti fiscali del mondo delle criptovalute, in quanto “siamo ancora in una zona estremamente verde in termini di conoscenza del fenomeno, il che significa che qualsiasi normativa ufficiale sulla base della quale possono essere tassate oggi sarà sempre molto parziale, in quanto abbiamo a che fare con un fenomeno che deve ancora dispiegare tutto il suo potenziale”, sottolinea.

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